Museo di Carouge: Albertine semina il mistero

Museo di Carouge: Albertine semina il mistero

Museo di Carouge: Albertine semina il mistero

Per la sua prima mostra dopo la sua ristrutturazione, il Musée de Carouge dà carta bianca alla disegnatrice ginevrina, recentemente insignita del prestigioso premio Hans Christian Andersen. Occupando tutto lo spazio, l’artista presenta “Apparition” e invita alla contemplazione, attraverso guazzi, personaggi e oggetti.

Un doppio evento è in arrivo, questo autunno per il Museo di Carouge. Riaprirà le sue porte al pubblico il 16 settembre alla Place de Sardaigne, dopo un ringiovanimento durato più di due anni, e inaugurerà una nuova mostra. Per inaugurare le sue stanze rinnovate, l’istituzione Carougese ha invitato la fumettista ginevrina Albertine, offrendole carta bianca. “Un dono, una rara opportunità”, ha detto l’artista, recentemente premiata con il prestigioso Hans Christian Andersen Prize. Assegnato ogni due anni a un autore e un illustratore, è considerato il premio Nobel per la letteratura per bambini e ragazzi.

La disegnatrice ginevrina è conosciuta per i suoi numerosi libri pubblicati da Editions de La Joie de Lire, le sue creazioni artistiche, ma anche per i suoi film d’animazione, tra cui La femme canon, nel 2017 (co-diretto con David Toutevoix). A Carouge, Albertine ha stretto legami, esponendo regolarmente nelle gallerie Maya Guidi, Ligne Treize, Séries Rares e Tiramisù, senza contare le sollecitazioni del Comune per varie creazioni grafiche.

Per questa nuova incursione Carougese, Albertine invita il pubblico ad immergersi nei pensieri e nelle riflessioni dell’artista stessa. Sotto il titolo “Apparizione”, le opere mettono in discussione la coscienza. Si tratta di solitudine, contemplazione, misticismo e metafisica.

La mostra vuole essere un percorso attraverso le stanze, durante il quale i visitatori alimenteranno le proprie riflessioni facendo eco a quelle di Albertine, distillate in forme diverse, tra cui una serie di guazzi con toni dominanti blu e gialli. Oggetti di legno, piccoli teatri e personaggi in bianco e nero contraddistinguono questo vagabondaggio pieno di mistero. “Un itinerario, dunque, dove la domanda, vera molla della nostra presenza nel mondo, guida l’essere umano molto meglio di quanto potrebbe fare la minima risposta”, si legge nella presentazione della mostra, scritta da Germano Zullo, compagno di vita e creativo di Albertine. Infatti, è lui che più spesso stabilisce il testo per le opere illustrate dall’artista ginevrina. Entrambi vivono e lavorano in una casa con le persiane blu, nel cuore del villaggio di Dardagny dove l’illustratrice 53enne è nata e cresciuta, in una casa immersa nell’arte, tra una madre ceramista e un padre assistente alla regia televisiva. È qui che l’abbiamo incontrata, alla fine della primavera, qualche settimana prima della mostra a Carouge, per un piccolo esercizio di domande e risposte.

Cosa ne pensa della carta bianca al Museo Carouge?

Sono arrivata in una nuova terra, ed è un’opportunità straordinaria, soprattutto perché il museo è costruito in diversi spazi, il che significa che devo lavorare a metterli insieme, alle loro relazioni e articolazioni. Ho voluto occupare tutti questi spazi, anche la nuova reception e il suo negozio, creando oggetti appositamente per questo luogo.

Cosa intende per “Apparition”, il titolo della mostra?

Da alcuni anni mi interrogo e lavoro sulla solitudine. Non una solitudine sofferta, ma una solitudine desiderata, una solitudine che nutre, che ci riempie della consapevolezza di essere vivi e ancorati nel vivo. La solitudine che ci lega alla terra, al paesaggio, alla natura e al tempo. È una relazione con la contemplazione e il tempo per guardare, respirare e sentire.
Che ruolo ha il sacro in questo approccio?

Volevo parlarne, pensare a ciò che non vediamo, ma che è lì, che è palpabile: la morte. Le grandi forme gialle che sembrano dischi volanti degli anni ’60 sono un modo per evocare l’accettazione del misterioso oltre la coscienza.

Si può anche sentire l’idea del silenzio…

Sì, sempre di più. Con la prima reclusione, abbiamo vissuto un periodo di silenzio obbligatorio, che non mi ha dato fastidio, ma che mi ha reso consapevole della posizione dell’uomo, del suo desiderio di emancipazione, da cui l’idea delle capanne.

Come sono nate esattamente queste capanne?

Sentendo Antoine Rubin alla radio. Questo antropologo ha scritto un libro sull’esperienza di tre persone che si sono ritirate a vivere nella foresta: Et il y a ceux des forêts (Ed. Ethnoscope). Ecco perché ho voluto disegnare delle capanne. In seguito, sono stati trasformati in rifugi.

Che differenza c’è tra una capanna e un rifugio?

L’idea del rifugio è nata dalla seconda reclusione, che, a differenza della prima, ha fatto emergere in me la rabbia. Questo sentimento è stato tradotto in questi rifugi. Le mie cabine sono architetture senza paesaggio, mentre i rifugi sono inscritti in un contesto di natura. Una natura appartata, non necessariamente piacevole. Questi rifugi sono aperti, non proprio confortevoli, sono luoghi di passaggio. Hanno anche un aspetto di “osservatorio ornitologico”. Il rapporto tra edificio e natura mi interessa molto. Come integrare l’uomo e il paesaggio?

informazioni pratiche
Museo del Carouge
Place de de Sardaigne
1227 Carouge

Da martedì a domenica, dalle 14:00 alle 18:00

Foto: Magali Girardin