Laura Accerboni, un’italiana da conoscere a Ginevra

Laura Accerboni, un’italiana da conoscere a Ginevra

di Carmelo Vaccaro

Nata a Genova nel 1985, Laura Accerboni ha ottenuto presso l’Università di Genova la Laurea triennale in Lettere Moderne, mentre ha conseguito il Master in Lingua, Letteratura e Civiltà Italiana presso l’Università della Svizzera Italiana di Lugano. Si occupa di poesia, traduzione poetica e fotografia. Ha pubblicato le raccolte poetiche “Acqua acqua fuoco” (Einaudi, 2020), “La parte dell’annegato” (Nottetempo, 2015), “Attorno a ciò che non è stato” (Edizioni del Leone, 2010).

Sue poesie sono state pubblicate su numerose riviste italiane e straniere. Ha vinto premi letterari nazionali e internazionali tra cui: Lerici Pea giovani (1996), Premio internazionale di poesia Piero Alinari (2011), Premio Achille Marazza Opera Prima (2012). Tradotta in diciotto lingue, è stata ospite di numerosi festival internazionali in Olanda, Belgio, Croazia, Macedonia, Spagna, Svizzera, Germania, Svezia e naturalmente Italia. Grazie a un progetto di Pro Helvetia, il suo libro “La parte nell’annegato” è stato tradotto e pubblicato in Argentina dalla casa editrice Eloísa Cartonera: per l’occasione è stata ospite della Fiera Internazionale del Libro di Buenos Aires (2018).

È tra i fondatori dell’agenzia letteraria transnazionale Linguafranca ed è responsabile delle attività culturali della Società Dante Alighieri di Ginevra.

Negli ultimi anni si è dedicata al rapporto tra poesia e arti visive, realizzando una serie di conferenze per la Fondazione Novaro di Genova, collaborando con il Locarno Film Festival e il Film Festival di Torino, e infine scrivendo il testo per il film documentario in VR “Lockdown 2020 – L’Italia invisibile” di Omar Rashid (Rai Cinema).

Grazie Laura per averci dedicato del tempo per raccontarti e parlarci delle tue innumerevoli e affascinanti competenze.

Come sei arrivata a Ginevra e come ti apparsa la città?

Dopo aver vissuto per sette anni a Lugano, nella Svizzera italiana, a novembre 2019 mi sono trasferita a Ginevra con la mia famiglia. Devo ammettere che ne sono felice. Ginevra è un po’ come una città di porto ma senza mare. Certe zone mi ricordano la mia città natale, Genova: un incrocio di lingue e culture diverse, un continuo via vai. Qui mi sento come nei versi di R. Alberti «Dove vai marinaio per le vie di terra?/ Vado per le vie di mare».

Come hai iniziato a scrivere e quali difficoltà hai incontrato durante il tuo percorso?

Ho iniziato a scrivere da bambina, a circa sei anni. Un pomeriggio trovai un libro di poesie di Guido Gozzano, l’unico libro di poesia che la mia famiglia aveva a casa. Ricordo di aver letto “La via del rifugio” a voce alta e di aver cominciato subito a scrivere. Da lì non ho più smesso.
Da piccola ero molto silenziosa e timida tanto che gli adulti pensavano che avessi qualcosa di sbagliato. La poesia mi è venuta in soccorso ed è diventata il modo più autentico (e semplice) per comunicare.

Le difficoltà che ho incontrato e che incontro nel mio lavoro credo siano dovute in parte al mio carattere e in parte al momento storico che viviamo.
La poesia e l’arte mi hanno insegnato soprattutto ad ascoltare, a non scavalcare nessuno e a mettere continuamente in discussione quello che faccio e penso.

La parola “poeta” lascia l’immaginazione vagare per molti nell’antica Roma o l’antica Grecia. Ai giorni nostri, chi è per te un poeta?

Uno dei libri che più ho amato negli ultimi tempi è “Il sogno preferito del mulo” di B. Patten (Oedipus, 1999). In una poesia, quella che dà titolo al volume, un mulo sogna di iniziare a cantare ma ecco che gli uccellini si recano dall’imperatore protestando e chiedendo che il mulo cessi il proprio canto; l’imperatore allora si mette in ascolto e, cogliendo «nella canzone (…) /qualche difetto che molto gli piacerà» dice: «Lasciate cantare il mulo,/ si sente il bisogno di un cambiamento,/c’è fame, c’è bisogno/ di cose diverse, ora». Penso che chi crea sia oggi il mulo, «il legittimo proprietario del canto».

Con la loro immaginazione, tanti poeti e scrittori vedono una realtà al di là della stessa realtà. A tuo parere che mondo sarebbe senza di loro?

Il poeta russo Brodskij diceva che chi legge poesie si lascia sconfiggere meno facilmente rispetto a chi non le legge. L’arte può allargare e tenere teso lo sguardo: credo che senza, saremmo ancora più chiusi in una visione di altri.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Sogno di insegnare poesia e letteratura italiana, ho sempre amato lo scambio che si crea con gli studenti.
Per ora però sono semplicemente alla ricerca di un lavoro e intanto scrivo e traduco.
Nell’ultimo anno ho avuto la fortuna di collaborare con la Società Dante Alighieri di Ginevra per cui curo le attività culturali. È una passione che mi accompagna da anni: prima di trasferirmi in Svizzera lavoravo alla Biblioteca Universitaria di Genova organizzando gli eventi letterari e artistici e poi, da Lugano, ho continuato ad aiutare diversi Festival e associazioni. In un certo senso, l’insegnamento e la cura degli eventi dialogano. Pablo Neruda in “Si desti il taglialegna” scriveva: «Io non vengo a risolvere nulla./ Sono venuto qui per cantare e per farti cantare con me».

Se dovessi scegliere una tua poesia per descriverti in questo momento….

Ieri il bambino più alto
ha messo una pietra
tra i denti
e ha iniziato a masticare.
Ha dimostrato
a sua madre
ciò che una bocca può fare
se messa all’orlo
e che una casa distrutta
è solo una casa distrutta.
Ieri tutti i bambini più alti
hanno messo alla fame i nemici
e raccolto i loro giochi in fretta.
Hanno dimostrato alle madri
l’ordine
e la disciplina dei morti
poi sono corsi
a lavarsi le mani
e ad ascoltare
le notizie
in forma di ninnenanne.

Come si coniugano nel tuo lavoro poesia e fotografia?

Il dialogo tra la letteratura e le altre arti per me è essenziale.

Ho iniziato a fotografare riflessi e manifesti strappati, particolari su cui successivamente avrei voluto scrivere. Così a poco a poco ha preso vita il mio primo lavoro, “Riflessi d’arte” (che però, alla fine, non includeva le poesie).

Un fotografo americano che vive da anni a Firenze, George Tatge, mi ha aiutata a selezionare le immagini per una mostra. Poco dopo, gli ho chiesto di tradurre in inglese alcuni miei versi e lui ha accettato sentendo che il legame tra l’immagine e la parola, seppur non esplicito, era forte.

Ultimamente invece sto lavorando a un progetto fotografico che nasce dal racconto “L’avventura di un fotografo” di Italo Calvino: «Antonino capì che fotografare fotografie era la sola via che gli restava, anzi la vera via che lui aveva oscuramente cercato fino allora». Partendo da questa indicazione, ho iniziato a fotografare fotografie e fogli di giornali, articoli (casa mia è ormai da anni invasa da brandelli di giornali).

Molte poi sono le poesie che ho scritto partendo dall’osservazione di alcune opere fotografiche: ad esempio credo che “Ieri il bambino più̀ alto” abbia un rapporto stretto con la fotografia “Bambino con granata giocattolo” di Diane Arbus.