Ilaria Di Resta: Iniziamo a vedere la fine della pandemia?

Ilaria Di Resta: Iniziamo a vedere la fine della pandemia?

Iniziamo a vedere la fine della pandemia?

della Dott.ssa Ilaria Di Resta

I dati che leggiamo sono sempre più rassicuranti, la corsa del virus sembra rallentare un po’ ovunque, con una diminuzione del numero di nuovi casi, di persone ospedalizzate e di decessi. Iniziamo anche ad assistere ad un allentamento delle misure di protezione e prevenzione, mentre procede la campagna vaccinale col la terza dose di richiamo e con diversi “nuovi vaccinati”, spinti anche da alcune regole che hanno reso la vita più complicata a chi non è vaccinato.

Chi ha letto i miei precedenti articoli, sa bene quanto io abbia sempre supportato la vaccinazione, ma guardiamo ai numeri che ci aiutano a vedere la situazione con obiettività. L’importanza del vaccino nel gestire l’ultima ondata è tutta qui: se confrontiamo il tasso di ospedalizzazione dei vaccinati e dei non vaccinati (su 100 mila abitanti) nei reparti ordinari e in terapia intensiva: in un periodo di 2 settimane sono stati ricoverati 35,6 pazienti non vaccinati in terapia intensiva, contro i 2 vaccinati da meno di 120 giorni o con la terza dose. Il calcolo è stato fatto anche per età ed è stato paragonato il tasso dei decessi, sempre su 100 mila abitanti, registrando 60,2 vittime tra i non vaccinati contro 6,4 tra degli immunizzati da meno di 120 giorni e 2,2 per chi ha fatto la terza dose. In pratica per i vaccinati oggi il tasso di letalità di Omicron è simile a quello dell’influenza, intorno allo 0,1%, per i non vaccinati è almeno 20 volte superiore se paragonato ai vaccinati con tre dosi.

Un’altra importante notizia che voglio condividere è la recente scoperta del coinvolgimento di una molecola chiamata Mbl (Mannose-Binding Lectin= Lectina legante il mannosio) ed il ruolo importante che gioca nella nostra risposta immunitaria innata verso SARS-CoV-2. Un gruppo di ricercatori dell’Istituto Humanitas in collaborazione con l’ospedale San Raffaele ha evidenziato come questa Mbl possa legarsi alla proteina spike del virus (quella impiegata per entrare nelle nostre cellule attraverso i recettori ACE2) e bloccarla, e questo “indipendentemente dalle varianti” del virus.

Le lectine, non nascono come proteine del sistema immunitario, ma nel lungo percorso della selezione naturale e dell’evoluzione degli organismi, sono state delegate a questa funzione. Questo passaggio è comunque molto remoto nel tempo, e le lectine fanno parte a tutti gli effetti della famiglia dei cosiddetti PPRR (Primitive Patterns Recognition Receptor), cioè i “recettori dell’immunità innata”, apparsi molto precocemente lungo la linea evolutiva, ben prima degli anticorpi, e ne costituiscono un antenato funzionale.

Se l’agente invasore esprime molecole riconosciute dalla lectina, questa attiva il cosiddetto “sistema del complemento”, cioè un insieme di alcune proteine che formano aggregati che perforano la membrana cellulare dell’invasore e lo uccidono con un meccanismo di vero e proprio scioglimento della cellula del patogeno. Questo riconoscimento molecolare lungo la cosiddetta “via lectinica” può avvenire con ogni tipo di patogeno che ha sulla sua membrana da residui di mannosio; può trattasi di batteri (come certi ceppi di salmonella, listeria o neisseria), di certi tipi di funghi o infine di virus, come HIV-1 o il virus respiratorio sinciziale, o come nel nostro caso recente di SARS-Cov-2.

Un’altra informazione importante è che questi Mbl hanno dei polimorfismi, ovvero varianti della proteina primaria (cioè la versione più comune, quella che esprime il “fenotipo naturale”, non mutato); queste varianti sono meno presenti nella popolazione ed hanno un funzionamento diverso. Oltre alla variante più comune detta A, per gli Mbl sono state identificate altre varianti tra cui la B (per lo più in popolazioni eurasiatiche e nelle Americhe) la C (prevalente nelle popolazioni sub-sahariane). L’informazione importante è che una espressione dell’una o delle altre varianti può portare ad una diversa risposta in seguito all’infezione da Sars-Covid2, che si traduce in una diversa attivazione del complemento.

Va anche ricordato che i coronavirus sono già noti da diversi anni come virus che infettano gli animali, il rapporto tra coronavirus e Mbl è ben conosciuto nei felini ed era stato anche studiato nell’uomo nel caso della SARS-CoV (o SARS-1). Fin dall’identificazione del virus SARS-1 nel 2003, infatti, viene notata sulla sua superficie un’abbondanza di zuccheri tale da predisporlo fortemente all’interazione con gli Mbl.

L’importanza del recente studio italiano è stata la possibilità di iniziare a decifrare come la severità/letalità della malattia possa essere collegata ai Mbl. Probabilmente ricorderete che una delle cause dell’evoluzione della malattia in forma severa o con esiti anche letali, è la cosiddetta “tempesta di citochine”, in particolare una risposta esagerata di interleuchina 6. Si è visto che un deficit della risposta primaria e quindi di Mbl, determina una modulazione disfunzionale della risposta immunitaria generale, e l’innesco proprio di questa tempesta di citochine.
La domanda ora è: quanto è importante, in questo deficit di immunomodulazione, una predisposizione genetica a una delle varianti di Mbl? E, predire questa predisposizione può aiutarci ad intervenire in maniera mirata nei soggetti a rischio?

Capire meglio questo meccanismo vuol dire avere uno strumento in più per contrastare non solo la SARS-CoV-2, ma probabilmente aiutarci anche in futuro per nuovi patogeni che possono affacciarsi sulla scena e trovarci, speriamo, più preparati di quanto sia successo con il COVID.